Nel 2013 si è festeggiato in Italia il centenario della geotermia ad alta entalpia, che permette lo sfruttamento del calore della terra ad alte temperature, così da assicurare la generazione elettrica. Una realtà diffusa in Italia unicamente in Toscana, ma il salto di qualità atteso negli scorsi anni, quando sembrava possibile un’espansione degli impianti su buona parte del territorio nazionale, non c’è stato, tanto che, a differenza delle altre fonti rinnovabili, il contributo della geotermia alla produzione elettrica nazionale è sostanzialmente stazionario da diversi anni. Invece, mai come oggi, appare concreta la possibilità di sfruttare il calore terrestre a fini termici, assicurando il riscaldamento e il condizionamento di case private, uffici, condomini e persino industrie. Stiamo parlando della geotermia a bassa entalpia, ossia della tecnologia che permette uno scambio di calore con il sottosuolo a bassissima temperatura (a differenza della geotermia classica, che può essere praticata soltanto in limitate aree geografiche). Da un punto di vista tecnico, nelle applicazioni geotermiche a bassa entalpia, il sottosuolo viene utilizzato come serbatoio in cui trasferire il calore in eccesso durante il periodo estivo e da cui trarre quello necessario durante l’inverno. Il principio di funzionamento è facilmente intuibile: già dalla profondità di qualche decina di metri la temperatura del suolo, infatti, diventa sostanzialmente stabile, risentendo solo in minima parte delle fluttuazioni della temperatura dell’aria in superficie, con una temperatura che in Italia oscilla fra i 12 e i 14 °C, mentre al di sotto dei 100 metri la temperatura inizia a salire intorno ai 3 gradi per ogni 100 metri di profondità. Quindi, poiché in inverno il terreno è più caldo dell’aria esterna e in estate è più freddo, lo scambio termico, effettuato con una pompa di calore, risulta energeticamente conveniente.
Gli impianti geotermici si distinguono in due gruppi in funzione della diversa sorgente termica esterna utilizzata: la forma più diffusa è quella degli impianti a circuito chiuso, dove lo scambio di calore avviene direttamente con il terreno attraverso sonde geotermiche (verticali o orizzontali). La seconda opzione è quella dagli impianti a circuito aperto, nella quale lo scambio di calore si ha con l’acqua di falda presente nel sottosuolo attraverso pozzi di emungimento. Concentrandoci sulla prima tipologia, l’analisi del Rse (Ricerca sul sistema elettrico) mette in evidenza come un impianto di questo tipo sia composto da tre elementi tecnologici: innanzitutto le sonde geotermiche, che devono “raccogliere” il calore del suolo. La profondità a cui vanno collocate varia da regione a regione e dipende dal tipo di suolo. In Germania, ad esempio, per legge non si può scendere sotto i 100 metri, mentre in Svizzera, Paese con la maggiore densità di scambiatori verticali nel mondo, si va dai 50 ai 350, con la tendenza ad aumentare la profondità per sfruttare al meglio le temperature più elevate del terreno, visto che le necessita di raffrescamento sono meno marcate rispetto ad altre situazioni climatiche. In Lombardia (dove questo tipo di soluzione è molto adottata) la profondità normalmente raggiunta è di 100-150 metri. Una sonda geotermica ha una vita media di diversi decenni, poiché è realizzata in materiale plastico (polietilene ad alta densità) caratterizzato da un’elevata resistenza alle tensioni e alla corrosione. Pertanto, la rottura di una sonda è alquanto improbabile. Di norma vengono, inoltre, effettuati collaudi di flusso e di tenuta sia prima che dopo l’installazione della sonda stessa. Altro elemento chiave dell’impianto geotermico è la presenza di una o più pompe di calore: quelle a compressione sono basate su un ciclo frigorifero inverso, funzionalmente identico a un ciclo frigorifero, solo che sono utilizzate anche per ottenere l’effetto opposto. Mentre nel ciclo frigorifero per raffreddare un edificio si riversa nell’ambiente esterno il calore, nel caso del ciclo in pompa di calore si riscalda l’edificio assorbendo il calore dall’aria esterna o dal sottosuolo (o “cedendo” freddo). Il terzo elemento portante della geotermia a bassa entalpia è la presenza di un sistema di accumulo e distribuzione del calore: gli impianti geotermici sono particolarmente adatti per lavorare con terminali di riscaldamento/raffrescamento funzionanti a basse temperature (30-50 °C) come, ad esempio, i pannelli radianti a pavimento e i ventilconvettori. In particolare, i pannelli radianti sono la soluzione ideale, poiché in inverno fanno circolare acqua calda a 30-35 °C e in estate acqua fredda a 18-20 °C, riscaldando e raffrescando con il massimo grado di comfort e risparmio energetico. La presenza di un serbatoio di accumulo per l’acqua calda risulta indispensabile per immagazzinare il calore e distribuirlo successivamente all’edificio, sia per il riscaldamento che per gli usi sanitari, quando vi è richiesta.
Al di là degli aspetti più tecnici, è certo che la climatizzazione degli edifici mediante sistemi geotermici rappresenti ormai una delle soluzioni più interessanti dal punto di vista tecnico, economico e ambientale. Negli edifici residenziali il riscaldamento e la climatizzazione estiva costituiscono, infatti, importanti voci di costo. Le soluzioni che si basano su energie rinnovabili, in particolare quelle geotermiche, sono investimenti che garantiscono negli anni risparmio economico e una forte riduzione delle emissioni di CO2, fino al 50%. Il massimo vantaggio si ottiene nell’installare un impianto geotermico in edifici nuovi sia per il riscaldamento invernale che per il raffrescamento estivo. In taluni casi le perforazioni per le sonde geotermiche possono essere eseguite contestualmente alle fondamenta, con ulteriore ottimizzazione di tempi e costi. Inoltre, in quasi tutti gli edifici residenziali di recente costruzione è prevista l’adozione di un sistema radiante a bassa temperatura a pavimento che, come abbiamo scritto in precedenza, è il sistema ottimale per la tecnologia a pompa di calore geotermica a bassa entalpia. Anche in caso di ristrutturazioni importanti è vantaggioso sostituire l’impianto precedente a gasolio o metano con un impianto geotermico a bassa entalpia. I sistemi radianti a pavimento, la cui installazione in abitazioni esistenti non predisposte è piuttosto costosa, possono trovare un valido sostituto in fan-coil a convezione progettati per riscaldare con rese termiche elevate anche con acqua calda a bassa temperatura, prodotta da pompe di calore geotermiche. “La geotermia a bassa entalpia riscuote in questo momento un grande interesse, in particolare per la costruzione di nuove abitazioni, anche grazie all’obbligo di inserire le energie rinnovabili (il riferimento è al Dlgs 28/2011 che ha introdotto nuovi obblighi per le rinnovabili a copertura dell’intero fabbisogno energetico dell’edificio, ndr ). Senza contare che questa tecnologia si sta rivelando la meno complessa nella fase di gestione successiva all’installazione. Inoltre, la geotermia a bassa entalpia non solo riscalda, ma raffredda anche l’aria e questo la rende particolarmente vantaggiosa nelle aree meridionali, dove è prioritaria l’esigenza di raffrescamento”, spiega Fabio Roggiolani, vice presidente di Giga, Gruppo informale per la geotermia e l’ambiente. Certo, esiste un problema di costi: un impianto geotermico ha un costo iniziale superiore a quello di una caldaia a gas e di un condizionatore elettrico. “L’investimento iniziale, rispetto a un impianto a metano, è più del doppio – ammette Roggiolani -. Poi, però, occorre tenere conto della detrazione fiscale del 65%, che permette di recuperare ampiamente la spesa iniziale. Quando si realizza un impianto simultaneamente alla costruzione di un’abitazione nuova i costi si abbattono notevolmente”. In effetti, secondo una stima di Legambiente, una macchina geotermica da 10 kW, adatta a soddisfare il riscaldamento invernale di un appartamento di 120 metri quadri a Milano, consente un risparmio annuo dei costi del 40% rispetto al gas metano, del 50% rispetto al Gpl, del 66% rispetto al gasolio. Il vantaggio è, ovviamente, maggiore se l’impianto geotermico è progettato per la climatizzazione (invernale ed estiva) di un condominio. In questo caso, la spesa per ogni appartamento è persino più bassa rispetto a quella che andrebbe affrontata per installare una caldaia tradizionale con l’aggiunta di un condizionatore per ogni singola abitazione. “C’è poi da considerare il risparmio sul metano, grazie alla nuova tariffa elettrica sperimentale introdotta dall’Autorità (che taglia gli oneri di sistema per i consumi elettrici elevati, ndr), che può garantire un risparmio clamoroso. In un condominio, inoltre, i costi sono ancora più bassi, perché la geotermia assicura una flessibilità di utilizzo da riscaldamento autonomo, con una semplicità di gestione e la quasi totale assenza di spese di manutenzione. Insomma, nel caso di una ristrutturazione edilizia o della costruzione di un nuovo palazzo, è davvero inconcepibile non usare la geotermia. La casa geotermica si vende bene perché, accoppiandola poi con il fotovoltaico con accumulo, si può davvero arrivare vicini al sogno di una bolletta zero”, aggiunge il vice presidente di Giga. Un altro aspetto da considerare è che l’eliminazione del ricorso alla combustione per il riscaldamento invernale e la produzione di acqua calda per scopi igienici e sanitari, soprattutto nei grandi centri abitati, contribuisce al miglioramento della qualità dell’aria grazie all’eliminazione di emissioni di gas inquinanti quali NOx, SOx e del particolato di combustione. Altro punto di forza è l’eliminazione dell’impatto architettonico e acustico degli impianti di condizionamento, visto che le geosonde sono interrate e quindi ‘invisibili’, mentre le apparecchiature a pompa di calore, di per sé intrinsecamente silenziose, vengono installate in locali tecnici interni agli edifici. Ma dove vanno a finire i soldi investiti in queste soluzioni? Vero è che i produttori di pompe geotermiche sono in gran parte esteri, ma nella parte relativa allo scavo dei pozzi e all’installazione delle sonde, che assorbono la gran parte delle spese, dominano le competenze italiane, tanto che si stima che oltre l’80% dell’investimento nella geotermia a bassa entalpia abbia ricadute dirette sul sistema economico nazionale. Insomma, se sinora il mercato italiano della geotermia a bassa entalpia è stato lontano dai livelli raggiunti nel Nord Europa, molti elementi fanno pensare a una riduzione del gap nei prossimi anni.